Ho sempre pensato di conoscere i Sibillini, l’aver salito tutte le cime del gruppo e più e più volte quelle più belle, averle concatenate in
innumerevoli traversate, mi aveva dato l’arroganza e la sufficienza per poter dire con orgoglio che i Sibillini erano casa mia; oggi che ce
li ho a portata di piede, e diciamo così posso dedicarci più tempo e maggiore attenzione mi sono arreso all’evidenza (era già consapevolezza
da molto tempo) che le montagne sono tanto altro oltre le vette, che nascondono dei segreti, che regalano avventure e meraviglia in ogni loro
versante, valle, fosso, cengia, sorgente, torrente e così via tanto da finire per non conoscerle mai davvero e completamente.
Devo ringraziare due amici del gruppo social del Club2000 se mi si è accesa la lampadina, Luca e Stefano (Stefano lo è anche per aver condiviso
tanti bei momenti su tante montagne) ed oggi ho iniziato a sanare il primo pezzetto della mia arroganza; avevo sentito parlare della cengia
delle Ammoniti, poco della cascata dimenticata che ho sempre confuso con quella nascosta meglio conosciuta come cascata del Rio nelle vicinanze
dell’eremo di San Leonardo, ma sempre perché le cime sono state il primo obiettivo e i Sibillini mete fino a ieri purtroppo lontane, entrambe
sono rimaste nel novero delle “cosette” da fare un giorno. Mi gustava l’idea poi di ripercorrere le gole dell’Infernaccio che ormai non
frequentavo più dagli anni precedenti il terremoto del 2016, per cui letta la pubblicazione di Luca mi sono messo a cercare informazioni; non
c’è voluto troppo impegno, il web è pieno di recensioni e anche se sulle carte la cascata dimenticata non è riportata come non è riportata
nemmeno la cengia delle Ammoniti, i sentieri per arrivarci ci sono e sono anche quelli ufficiali del parco, basta puntare il casale del Rio
nei cui pressi sgorga la cascata e i Grottoni che anticipano di poco la cengia, come dire che era tutto lì apparecchiato, solo che io ero un
gran bell’asino dalle orecchie lunghe e i Sibillini li conoscevo per modo di dire. Superato Rubbiano parcheggiamo nei pressi della sbarra che
chiude l’accesso alla gola, sono le 8 della mattina e già molte sono le auto parcheggiate in fila lungo la strada polverosa, più tardi diventerà
il consueto delirio di gente; le “pisciarelle” sono in gran forma, grondano acqua in abbondanza. Dopo le Pisciarelle, l’attraversamento del
fiume e accanto all’imbocco sbarrato della galleria inizia in brevissima salita anche se un po' scivolosa a causa del fino breccino di fondo,
subito dopo inizia Il tratto più stretto della forra, lungo poche centinaia di metri, è formato da una serie di brevi salite e discese; sulla
prima dei gradini artificiali aiutano non poco, la seconda, più modesta, tramite un acciottolato di pietre del tutto naturale attraversa il
passaggio più stretto della forra, sovrastato da lisci roccioni ravvicinati dove è difficile intravedere il cielo e la vegetazione che lo
sovrasta, a sinistra si sfiora la Sibilla e a destra la Priora, in alcuni momenti si riescono a toccare entrambe. Il Tenna che gioca ad
attorcigliarsi tra le rocce e che si è scavato il passaggio in spazi davvero stretti, si attraversa un paio di volte tramite alcune passerelle,
che poi sono veri e propri ponti sospesi sul fiume. Alla gola dell’Infernaccio puoi tornarci cento volte e per tutte rimane quella forra
incredibile che emana mistero e forza della natura. Superato il passaggio più stretto si entra nella valle che si allarga un pò e diventa
pianeggiante, ci scorre placido il Tenna che è contenuto a destra da un muro in pietra che a sua volta contiene la strada di servizio utilizzata
dall’Enel per i lavori dell’acquedotto. Se vi siete fatti domande quando superando le Pisciarelle vi siete trovati davanti la bocca della galleria
sbarrata sappiate che appartiene proprio all’’Enel, era stata costruita ai tempi della captazione delle sorgenti del Tenna per uso civile ed è
utilizzata anche oggi per i mezzi di servizio; unico, insieme alle maestranze a condividerne l’accesso era Padre Pietro, il “muratore di Dio”
(appellativo datogli a padre Pietro da Giovanni Paolo II) colui che ha rimesso in piedi l’Eremo di San Leonardo.
Lo utilizzava a bordo del suo piccolo mezzo per scavalcare la parte iniziale di accesso alla valle composta da diversi e scomposti dislivelli
superabili solo a piedi ogni volta che doveva scendere a valle per rifornirsi di viveri o per altre necessità. L’eremo e padre Pietro sconfinano
un po' nella leggenda, è facile sentir dire che padre Pietro sia l’artefice della costruzione dell’eremo posto sullo sperone boscoso a 1128 m. di
altezza sopra le gole dell’Infernaccio; di fatto ne è stato l’artefice della ristrutturazione perché in verità le prime notizie di un manufatto
sul posto risalgono ai primi anni del Medioevo, al 1066 quando gli abitanti di Montefortino, in scontro con quelli di Visso, eressero un fortino
per controllare l’accesso alla valle. Più tardi divenne un eremo benedettino che accoglieva pellegrini e viandanti sulla via per Roma (già, Roma,
naturalmente si viaggiava a piedi, gole e valli interne, erano un ottimo modo per ridurre il tragitto!!!). L’eremo subì una continua e lenta
decadenza e intorno al 1500 fu abbandonato dai monaci, venne acquisto da varie famiglie di Signori locali per usarlo come fienile, stalla, ricovero
o deposito degli attrezzi a seconda della necessità fin tanto non diventò un rudere. Fu nel 1971, il 24 Maggio, che dopo averlo ricevuto in dono
e avute tutte le autorizzazioni per la ristrutturazione, nonché dopo aver sostenuto e combattuto le opposizioni dei monaci dell’eremo dell’Ambro
nella valle attigua, iniziò la ristrutturazione dell’eremo. Durò una quarantina d’anni la ristrutturazione e il rudere divenne l’attuale eremo di
San Leonardo, ieri più che oggi, luogo di pellegrinaggio, anche se in prevalenza mosso da curiosità e turismo. Padre Pietro morì nell’Agosto del
2015, per sua fortuna si risparmiò lo scempio del terremoto dell’anno successivo che rese inagibile il suo sogno terreno, fosse ancora in vita
certamente l’Eremo oggi sarebbe ristrutturato e di nuovo agibile.
Superata la forra si entra nella valle adesso più larga ma sempre incassata e ricca di vegetazione, ambiente estremamente suggestivo e ameno, le
opere di contenimento del fiume incassano il letto del Tenna e consentono una piacevole camminata sulle sue sponde, in questo tratto e da questo
lato artificiali, ma non intrusive; lo scorrere placido dell’acqua come sottofondo accompagna fin tanto il sentiero non inizia a salire gradualmente
e dopo poco meno di un chilometro dalla forra, un paio circa dalla partenza si incontra sulla destra la deviazione (+45 min.)per salire all’Eremo,
molto evidente e contrassegnata da una palina con le indicazioni. Nella faggeta fitta, il sentiero sale più ripido e con varie svolte raggiunge la
spianata sullo sperone dove sorge a 1128m. di altezza l’Eremo di San Leonardo. Il basso campanile a causa del terremoto si è staccato dalla struttura
ed oggi è sostenuto da una impalcatura che poco si armonizza con il sito davvero evocativo e solitario; inutile dire che l’Eremo è chiuso e sbarrato
in attesa di momenti migliori. Dalla parte opposta dell’Eremo sorge una fontana da dove sgorga un bel getto d’acqua, questa e la vicinanza dell’Eremo
hanno reso un angolo di paradiso una meta turistica molto frequentata e purtroppo i segni si notano tutto intorno e nelle vicinanze dei sentieri che
da qui partono; qua e là autentiche latrine a cielo aperto con ogni sorta di rifiuto, capisco le primarie esigenze meno, molto meno, l’assoluta incuria
e mancanza di rispetto di chi da questi posti dovrebbe scendere preso a calci nel culo. In ogni caso dalla fontana partono due sentieri, a destra, un
po' nascosto nella faggeta quello che in piano raggiunge la più famosa, perché facile da raggiungere, cascata del Rio o cascata dimenticata, a sinistra,
partono invece due tracce che si ricongiungono ben presto e che portano ai Grottoni, al Priora e in un sacco di altri posti solo se si avesse gamba per
seguirli. La traccia rientra immediatamente nel bosco, lunghi traversi e un po' di tornanti fanno salire di quota con leggerezza, stupendi e imperiosi
gli affacci sulla Sibilla e sul suo ripidissimo versante ricco di fossi di fatto impraticabili tanto sono incassati e verticali; intorno ai 1300 m.
(+45 min.) si esce dalla faggeta su uno slargo erboso, il sentiero evidente si inerpica con una serie di tornanti verso gli sbalzi a picco sulla valle
che già si vedono lontani sulla sinistra e che interrompono il paginone erboso del Priora, anticipano di poco i Grottoni e la Cengia delle Ammoniti che
dovevano essere i nostri secondi obiettivi della giornata. Dallo slargo erboso per raggiungere la poco conosciuta cascata dimenticata, per niente segnalata
e senza traccia evidente, ci si deve staccare sulla destra e proseguendo verso Nord in piano raggiungere il limite della faggeta; nessun segnale e nemmeno
una traccia se pur minima, qualche impercettibile segno di calpestio tra l’erba alta ma l’importante è non perdere quota e viaggiare in piano perché quando
si entra nel bosco la traccia ritorna molto netta ed evidente. Prima nel bosco e poi su una precisa quanto inevitabile traccia che in alcuni tratti si fa
larga cengia quando aggira le diverse dorsali che scendono dal Priora, ci si inoltra nella valle formata dal torrente Rio; il profilo del Priora in alcuni
tratti scende verticale verso il fosso ma la presenza di boscaglia, se pur rada, attutisce il senso di leggera esposizione.
Lentamente ma inesorabilmente il ripido versante opposto del monte Pizzo si avvicina e contemporaneamente il profondo letto sassoso del torrente si viene
alzando. Qualche passaggio molto infrattato regala isolamento assoluto e solo pochi e lontani spiragli fanno intuire la strada di avvicinamento che da
Rubbiano porta alla gola dell’Infernaccio; nonostante ci si meravigli di quanto la valle si allunghi dentro le pieghe della montagna e ci si renda conto
di quanto poco frequentato sia questo sentiero la traccia rimane sempre molto chiara e netta. Non intuiamo la deviazione per i ruderi del casale del Rio
e raggiungiamo la fine della valle dove incontriamo un ghiaione che scende dall’alto; non sappiamo bene cosa aspettarci e dove finisca il sentiero, la
poca documentazione esistente marca solo che la cascata sgorga dalla sinistra e che solo all’ultimo momento si riesce a scorgere. Attraversiamo il ghiaione
su una labile traccia per cercare di raggiungere il fondo del fosso che sembra uscire dietro una sottile rama rocciosa che cala dal fianco del monte Pizzo
e dietro la quale ci sembra di intuire l’inizio una ulteriore stretta valle, se non addirittura un angusto fosso. Dopo il ghiaione qualche passo su un breve
tratto erboso piuttosto esposto ad aggirare uno spigolo roccioso molto verticale permette di raggiungere il letto del fosso che coincide poi con l’inizio di
un mondo che non è possibile manco percepire pochi passi prima. Una lunga stretta valle continua a salire per qualche centinaio di metri, sottile e incastrata
fino ad uno sporco nevaio ai piedi del muro che la chiude, potremmo definirlo un fosso ma il termine sminuisce di molto l’isolamento e la bellezza di questo posto.
Al centro del salto roccioso che chiude la valle si intuisce lo scivolo, ora asciutto, di una cascata, sicuramente l’origine del fosso del Rio che ha le sue
sorgenti sotto la cima della Priora. Il salto in fondo alla valle è asciutto, il piccolo nevaio sopravvissuto non poteva essere sufficiente ad alimentare il
pur esiguo corso d’acqua, era evidente che l’origine del torrentello non poteva che essere la nostra cascata che oltre essere dimenticata doveva davvero essere
anche ben nascosta. Il fosso si attraversa subito all’inizio, dopo la lama di roccia che scende dal Pizzo, una traccia sulla sponda destra permette di risalirlo
senza difficoltà nonostante la vegetazione sia disordinata e a tratti intricata; l’ho risalito direttamente all’interno dell’alveo, guadando e superando piccole
rocce affioranti, è facile immaginare di che portata stiamo parlando. Si risale per un centinaio di metri forse poco di più e ciò che stupisce è che pur intuendo
la presenza della cascata oltre non vederla non se ne percepisce nemmeno lo scroscio; solo quando si arriva nei pressi del nevaio e a sinistra si apre una piccola
ansa nel fianco della montagna ci si accorge della cascata (+1,10 ore), praticamente quando ci si arriva esattamente sotto. La portata è ridotta ma il salto è
notevole, una trentina di metri è alto e anche se la portata come ho detto è ridotta l’impatto scenografico è notevole. Dal basso si scorgono tre salti, quello
centrale sembra il più alto, la cascata si trova a quota relativamente bassa, 1300 m. circa, nelle viscere della Priora e sopra ha tutto il paginone dell’Ara
della Regina, sono certo che anticipando un po' il calendario e cercando di arrivarci nel momento dello scioglimento delle nevi la portata sia imponente e il
colpo d’occhio davvero molto più suggestivo, credo e immagino anche che non sia facile intuire il momento giusto, arrivarci prima si correrebbe il rischio di
trovare condizioni invernali, accumuli di neve neve e visti i versanti ripidissimi anche quello di ritrovarsi in qualche rogna rischiosa. Il cielo si era coperto
di quelle nuvolaglie inconsistenti bianche e compatte che non ti danno respiro, il caldo stava diventando opprimente, seduti ai piedi della cascata ci siamo goduti
la frescura dovuta all’alto salto che muoveva aria, l’acqua inoltre ci scorreva praticamente a mezzo metro sotto i piedi, non esisteva posto migliore per stare.
Si stava così bene che siamo rimasti li sotto per almeno un’ora, mi sono divertito con la macchina fotografica, Peonie e Narcisi offrivano delle quinte meravigliose
alla cascata che diventava anche un’eccellente palestra per degli esercizi fotografici, peccato non aver avuto con me un cavalletto per qualche esercizio più azzardato.
Intorno i versanti salgono molto ripidi, La Priora sopra la cascata, il Pizzo dalla parte opposta, ci si sente davvero isolati e incastrati nelle viscere della
montagna, eppure guardando le fievoli tracce del versante del Pizzo e le linee sulla carta, da qualche parte si sarebbe riusciti a passare per salire fin sul colle
delle Murelle sulla sella tra il Pizzo e la Priora che si intuisce circa cinquecento metri più in alto. Il rientro è veloce, naturalmente per la via dell’andata,
poco meno di un’ora e mezza per l’Eremo e altri cinquanta minuti per raggiungere l’auto poco oltre la sbarra lungo la strada per Rubbiano. Il caldo soffocante come
siamo usciti dal fosso ci ha distolto dal raggiungere i Grottoni e la cengia delle Ammoniti, l’appuntamento è solo rimandato all’autunno. Oggi ci basta la chicca
della cascata dimenticata, ci bastano i quasi 12 km percorsi e i poco meno 700 m. di dislivello, e soprattutto sono soddisfatto per aver aggiunto questo pezzo di
Sibillini nel cassetto delle esperienze. A presto quindi per i i Grottoni fino alle sorgenti del Tenna e poi in autunno magari ci sarà da mettere in cantiere anche
per quel sentierino ardito che abbiamo visto sul versante della Sibilla, quello che da poco oltre il monte Zampa taglia tutto il versante sotto la cima della Sibilla
e sopra le sue scavate vene. Tanta roba rimane da fare per conoscere davvero i Sibillini, ma arrivo, arriviamo, siamo pronti.